Grava integralmente sul lavoratore l'onere della prova in ordine al danno patrimoniale eventualmente sofferto a causa del lamentato demansionamento così come su di esso grava pure ogni dimostrazione in relazione al nesso causale con l'illegittima condotta datoriale.
E' questo il principio di diritto che scaturisce dalla ordinanza della Corte di Cassazione di guidi seguito si riporta l'importante decisione.
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 ottobre 2020, n. 23144
Mansioni specifiche di fornire pareri legali – Demansionamento, in conseguenza di distacco legittimo – Sussistenza di un danno non patrimoniale – Pregiudizio non si identifica con l’inadempimento datoriale e non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo – Non sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale – Onere sul lavoratore di allegare il demansionamento, di fornire la prova del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale
Rilevato che
1. il Tribunale di Torino accoglieva il ricorso di M.A. – dipendente della Società Italiana per il Gas s.p.a. dal 1982, con qualifica di impiegato di 8° livello dal settembre 1988 e mansioni di esperto studi attività legali dall’ottobre 2001, con il compito specifico di fornire pareri legali ai vari uffici della società o delle altre imprese del gruppo in materia di appalti, gestione dei rifiuti, tutela ambientale e sicurezza – ed, accertato l’avvenuto demansionamento, in conseguenza della adibizione del predetto, in sede di distacco (ritenuto legittimo), dal luglio del 2011, presso l’unità Segeim/Sergen/Auto della società controllante S., a mansioni di gestione dei dati amministrativi relativi agli automezzi delle società del gruppo, corrispondenti al 3° o 4 livello impiegatizio, condannava la società al risarcimento dei danni nella misura di € 15.000,00;
2. la Corte d’appello di Torino, con sentenza del 19.7.2016, accoglieva l’appello della società ed, in riforma della sentenza impugnata, respingeva le domande proposte con il ricorso introduttivo;
3. la Corte distrettuale, partendo dall’esame del terzo motivo, per la ragione più liquida, rilevava che l’A. non aveva allegato, né dedotto alcuna specifica circostanza di fatto che dimostrasse la sussistenza di un danno non patrimoniale (biologico, esistenziale, all’immagine etc.) quale conseguenza del demansionamento subito;
4. osservava che nel ricorso erano contenute solo affermazioni generiche e tautologiche o di scarsissimo rilievo, che non descrivevano alcuna circostanza di fatto specifica ed individuata nello spazio, nel tempo e nei protagonisti, e non consentivano di ricostruire il concreto verificarsi di alcun danno apprezzabile all’integrità psico- fisica, alla vita di relazione, alla progressione in carriera, all’immagine professionale e personale del lavoratore;
5. richiamava giurisprudenza di legittimità confermativa del principio secondo cui il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale non ricorreva automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non poteva prescindere da una specifica allegazione, dall’esistenza di un pregiudizio provocato sul fare (a)reddituale del soggetto che ne alterasse le abitudini e gli assetti relazionali, inducendolo a scelte di vita diverse;
6. richiamava il principio in forza del quale incombeva al lavoratore non solo allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale e che, pur potendo ricorrere alla prova per presunzioni, non potesse prescindersi dall’allegazione di fatti storici specifici ed individuati senza la cui prova non poteva darsi fondamento al ragionamento presuntivo; ci si domandava in sentenza quali fossero le concrete possibilità di carriera e di avanzamento che l’A. non avrebbe potuto conseguire, quali altri colleghi con esperienze lavorative analoghe alle sue avessero conseguito promozioni, quali fossero state le occasioni di avanzamento professionale perse, chi fossero stati i colleghi che gli avevano rivolto commenti insultanti o sfottenti, quali conseguenze concrete si erano verificate nella sua vita familiare e di relazione;
7. di tale decisione domanda la cassazione l’A., affidando l’impugnazione a due motivi – illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380, 1 bis, c.p.c. -, cui resiste la società, che propone ricorso incidentale condizionato, affidato a tre motivi; l’A. ha depositato controricorso all’impugnazione incidentale della società, che ha depositato propria memoria.
Considerato che
Ricorso Principale
1. con il primo motivo, l’A. denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c. c., con riferimento agli artt. 2697, 2727, 2729 c.c., con riguardo alla prova del danno non patrimoniale da demansionamento illegittimo, assumendo che elementi quali l’esistenza effettiva del demansionamento, la durata dello stesso, la sua entità in relazione alle mansioni in precedenza svolte avevano costituito oggetto di allegazione del ricorrente, che aveva descritto le mansioni svolte prima del 2011 che gli avevano consentito l’inquadramento nell’8° livello ed aveva riportato la relativa declaratoria del ccnl del 9.3.2007 vigente all’epoca dei fatti, aveva altresì descritto le mansioni svolte successivamente, precisando che erano quelle di impiegato d’ordine di 3° o 4° livello, e riportato le relative declaratorie contrattuali; assume che le prove espletate avevano avuto esito confermativo delle circostanze allegate consentendo pertanto alla Corte territoriale di risalire presuntivamente alla valutazione del danno subito, come previsto dagli artt. 2727 e 2729 c.c., danno di cui si era fornita l’indicazione e la natura, sicché era illegittima la decisione che aveva ritenuto irrilevante la violazione dell’art. 2103 c.c., ad onta di quanto previsto dagli articoli richiamati in rubrica;
2. con il secondo, il ricorrente principale lamenta omesso esame di fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in particolare, omesso esame delle deduzioni e del contenuto del ricorso di primo grado e delle risultanze istruttorie riportate nel ricorso (pagg. 6 e 7); sotto altro profilo, deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp att. c.p.c., adducendo che i dati risultanti dallo stesso testo della sentenza impugnata, quali l’esistenza del dennansionamento, la sua durata e la sua gravità, pur se allegati e dimostrati, non sono stati tuttavia minimamente presi in considerazione dai giudici del gravame, avendo la Corte ritenuto di anteporre a tale verifica l’affermazione che non sarebbe stata fornita prova del danno;
3. i due motivi vanno trattati congiuntamente in quanto, pur nella diversa articolazione, le relative censure, riferite nel primo a vizio di violazione di legge e nel secondo a vizio ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., denotano evidenti profili di connessione delle questioni poste a rispettivo fondamento;
4. la pronuncia della Corte torinese, una volta operata la scelta di anteporre ad ogni altra valutazione l’esame della “ragione più liquida” – in conformità ad esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, privilegianti il profilo dell’evidenza rispetto a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. – ha applicato correttamente i principi ripetutamente affermati da questa S.C. relativi alla prova del danno da demansionamento, ritenendo tuttavia, con riguardo alla fattispecie esaminata, che i fatti allegati dal ricorrente non fossero stati sufficientemente specifici;
5. nella sostanza la Corte distrettuale ha ritenuto di bypassare ogni valutazione del dedotto demansionamento escludendo che fosse conseguibile il risarcimento del danno asseritamente derivatone sul rilievo che i fatti storici allegati (caratteristiche, durata, gravità del demansionamento, frustrazione professionale) fossero privi del carattere di specificità, non individuati e come tali inidonei a fondare la base del ragionamento presuntivo, che avrebbe consentito di ritenere raggiunta la prova del pregiudizio attraverso l’inferenza del fatto ignoto da quelli noti, ove opportunamente dimostrati;
6. in tema di demansionamento e dequalificazione professionale, il pregiudizio – danno non patrimoniale – non si identifica con l’inadempimento datoriale e non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale;
7. in termini generali, il dato di fondo è quello che il pregiudizio è cosa diversa dall’inadempimento, anche se il primo può essere desunto attraverso la prova per presunzioni, purché gli indizi siano integrati da elementi (allegati) che in concreto e non in astratto descrivano durata del demansionamento, conoscibilità all’interno ed all’esterno dell’ ambiente lavorativo, frustrazione di aspettativa di progressione professionale, riflessi sulle abitudini di vita del soggetto, etc.;
8. nella prova presuntiva la parte danneggiata ha l’onere di fornire la prova diretta di tutto ciò che può costituire il fatto-base e proprio quest’onere indefettibile è ciò che costituisce il tratto distintivo del piano del danno evento da quello del danno in re ipsa, in quanto per il secondo lo sforzo probatorio si arresta alla lesione del diritto, nell’altro si estende a circostanze ulteriori, benché possa trattarsi di circostanze vicine all’evento lesivo; il fatto noto non può essere l’ingiustizia sic et simpliciter, ma, quanto meno, l’ingiustizia circostanziata, esaminata, cioè, nel suo contesto particolare. Ciò non toglie che un’eccessiva prudenza del giudice nell’utilizzare la prova presuntiva possa condurre a vuoti di tutela risarcitoria (v. Cass. 23.9.2016 n. 18717);
9. sulla censurabilità della decisione di merito in tema di valutazione delle presunzioni con riguardo alla natura dei fatti dedotti, a supporto del pregiudizio conseguente al demansionamento, va registrato un panorama giurisprudenziale di legittimità variegato: tra le più recenti, Cass. 20.5.2020 n. 9295 ravvisa la necessità che le presunzioni siano ancorate a circostanze precise e puntuali e, negli stessi termini si pongono Cass. 18.2.2020 n. 4100 – che richiama Cass. 29.1.2018 n. 2056 -, nonché Cass. 23.3.2020 n. 7483 che è più possibilista, ritenendo che, in tema di demansionamento, sia significativo il lungo arco temporale del depauperamento professionale;
10. alcune pronunce (Cass. 13.12.2019 n. 32982 ed anche Cass. 15.10.2018 n. 25743) ritengono che vi sia un alleggerimento del carico probatorio in tema di presunzioni con riferimento all’ipotesi dell’inattività in cui venga lasciato il lavoratore, prima adibito a mansioni che fossero espressione di una rilevante o specifica professionalità;
11. risulta, in tale ipotesi, valorizzato il vulnus alla personalità a seguito di una cesura dello sviluppo delle professionalità acquisite sino a quel momento della propria carriera lavorativa, con conseguente possibile risarcimento del danno non patrimoniale ed anche patrimoniale ove vengano dimostrati riflessi negativi in termini strettamente economici, ma ciò condivisibilmente soltanto nei casi di inattività del lavoratore precedentemente impegnato in funzioni che ne esaltavano la professionalità;
12. altre decisioni di questa Corte sono più specificamente riferite al modo in cui il ragionamento fondato su procedimento presuntivo debba risultare articolato e in che limiti lo stesso possa oggetto di critica in sede di legittimità (cfr. Cass. 25.2.2020 n. 5038, Cass. 2356/20, Cass. 26.2.2019 n. 5484, 1234/19, 14762/19, Cass. 30578/19, Cass. 30578/2019, che richiama Cass. 9108/12, per la valutazione complessiva di elementi indiziari, con possibilità di deduzione di violazione di legge quanto alla valutazione atomistica compiuta dal giudice del merito, Cass. 24.9.2019 n. 23789, con richiamo a Cass. 29635/2018, per censura in diritto – controllo sulla negazione dei caratteri di gravità, precisione e concordanza dei fatti concreti -);
13. questo essendo il quadro giurisprudenziale di riferimento, occorre valutare se la censura in diritto formulata dall’A. e sviluppata nel corpo del motivo sia conforme alla deduzione prospettabile in tema di contestazione del ragionamento fondato su presunzioni;
14. la sentenza della Corte torinese, per come si articola l’iter argomentativo che ne sostiene la parte dispositiva, afferma che le circostanze dedotte in funzione asseverativa della sussistenza di un danno non patrimoniale (biologico, esistenziale, all’immagine ) quale conseguenza del demansionamento subito sono astratte e generiche e prive di riferibilità alla vicenda concreta;
15. tale giudizio, idoneamente argomentato e frutto di una valutazione di merito, non è sindacabile, per quanto sopra indicato, nella presente sede di legittimità sul piano della diversa rilevanza attribuibile alle circostanze allegate a fini probatori rispetto al pregiudizio e non al dedotto demansionamento, e ciò è sufficiente ad escludere la idoneità delle critiche avanzate a scalfire la conclusione cui è pervenuto il giudice del gravame, posto che, al di là del richiamo alla violazione delle norme rubricate – rispetto al quale l’omissione dedotta si pone come consequenziale -, nella sostanza le stesse mirano a confutare la valutazione di inadeguatezza delle prospettazioni del ricorrente, espressa dalla Corte distrettuale, a costituire la base di un valido ragionamento presuntivo, che presuppone la sicura identificazione dei fatti noti dai quali risalire, in virtù di tale percorso logico giuridico, a quello ignoto;
Ricorso Incidentale Condizionato della società:
16. è dedotta dalla società l’erroneità ed illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cpc, nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. con riferimento all’art. 2103 c.c., sul rilievo che il demansionamento era stato ritenuto dal primo giudice con ultrapetizione ed in modo non conforme a quanto richiesto nel ricorso introduttivo, ove si era fatto riferimento soltanto all’inquadramento della mansioni svolte nel 3° livello;
17. ulteriore motivo dell’impugnazione incidentale è riferito alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 2103 c.c. nonché dell’art. 115 c.p.c., sostenendosi che le mansioni nuove assegnate all’A. erano coerenti con il bagaglio di nozioni da lui possedute e in tutto e per tutto congruenti con la categoria di appartenenza, contrariamente a quanto rilevato dal giudice di primo grado;
18. si lamenta, infine, violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., sull’assunto che nel ricorso introduttivo era assente ogni richiesta di condanna all’assegnazione del ricorrente a mansioni comprese nell’ottavo livello di inquadramento del c.c.n.l. di categoria;
19. tutte le enunciate censure sono all’evidenza assorbite dal rigetto del ricorso principale;
20. al rigetto del ricorso principale consegue che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente principale e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;
21. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002 in capo al ricorrente principale;
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.
Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dell’art.13, commalbis, del citato D.P.R., ove dovuto.
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